Ad un mese esatto dalla tragica esplosione che ha devastato la città di Beirut, il Papa chiede una giornata di digiuno e di preghiera universale per oggi venerdì 4 settembre, rivolgendosi anche ai fratelli e alle sorelle di altre confessioni e tradizioni religiose. Ognuno vi aderirà nelle modalità che riterrà più opportuna, dice, e l’obiettivo è alzare tutti insieme, in comunione fraterna, come unica famiglia umana, una preghiera a Dio perché il popolo libanese non perda la speranza e “ritrovi le forze e le energie necessarie per ripartire”.
In occasione di una giornata così significativa anche noi, come Family International Monitor, desideriamo vivere questa vicinanza concreta e spirituale con i fratelli del Libano, seguendo la nostra vocazione di provare a stare accanto alle famiglie, ascoltare il loro vissuto e raccontarne la vita concreta.
Come sapete, il Libano è uno dei 12 paesi in cui l’Osservatorio sta conducendo la ricerca sul tema “Famiglia e povertà” – la pubblicazione del primo report su “Famiglie e povertà relazionale” è prevista per la fine di novembre 2020 – e appena appresa la notizie dell’esplosione ci siamo messi in contatto con il nostro caro don Youssef Abi Zeid, direttore dell’Istituto della Famiglia dell’Università La Sagesse, per accertarci della loro incolumità e per farci loro prossimi.
Attraverso di lui abbiamo raccolto il racconto della situazione, alcune testimonianze ahimè drammatiche di chi ha visto il proprio mondo crollare nello spazio e nel tempo di pochi secondi e che ora si trova davanti la terribile sfida dell’andare avanti provando a ripartire da macerie, non solo fisiche e materiali, ma anche psicologiche, emotive, e spirituali.
Vogliamo condividere con voi alcune delle sue parole, nella speranza che possano aiutarci a guardare e a sentire ciò che stanno vivendo i nostri fratelli dell’“altra riva” del Mediterraneo.
Uniti universalmente nella preghiera e nel digiuno, perchè la terra dei cedri possa rifiorire.
Valeria Guarino, Segretario Generale del Family International Monitor
Beirut, 13 Agosto. Nove giorni dopo l'esplosione.
“Ho impiegato un giorno per riprendermi dallo schock psicologico dell’esplosione, ma mi spingo a darmi una svegliata al pensiero del grande dramma che sta vivendo la città. Tutto questo mi provoca grande tristezza, ma resisto, con la Speranza della fede in Gesù.
I primi giorni dopo l'esplosione la gente andava in giro a cercare i loro feriti e i loro morti, ma allo stesso tempo una massa di volontari di ogni confessione si sono precipitati par dare una mano. Ora siamo nella fase dell'organizzazione di questo flusso di atti caritativi.
La parrocchia dove sto operando, la parrocchia di San Michele, è stata divisa in settori, e ad ogni settore un prete volontario si rende disponibile per ascoltare le persone che abitano in quella zona e incoraggiarli. Si sta formando un tavola di lavoro per conoscere i loro bisogni di cibo, aiuto medico, psicologico e spirituale, ma anche le necessità fondamentali degli appartamenti danneggiati: porte, finestre, vetri, pulizia dei resti di distruzione, sistemazione della casa.
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La diocesi maronita di Beirut prova a centralizzare la gestione del supporto alle parrocchie devastate, che al momento sono 6, e in ogni parrocchia si è collocata una tenda per ricevere la gente che ha bisogno di ricostruire la casa.
Ma allo stesso tempo ladri (di maggioranza siriana) rubano gli appartamenti aperti. Alcuni ricchi approfittano della situazione per comprare i terreni dei palazzi danneggiati a basso prezzo, e gente da regioni non danneggiati fanno finta di essere cittadini delle zone devastate per prendere i pacchi di supporto destinati alle vittime dell'esplosione.
Capita anche però che l'orgoglio dei cittadini di Beirut impedisca loro di inserirsi in questa fila. Famiglie che prima aiutavano i poveri della Chiesa ora si trovano nel più grande bisogno perché hanno perso tutto: il lavoro, la casa.
Senza parlare di chiese, ospedali, alberghi, ristoranti, uffici, imprese, commerci, tutti distrutti o danneggiati.
Sapendo che il Libano vive di turismo e di commercio questi dati ci dicono che ci troveremo in grossi guai e che la ripresa sarà molto dura.
Dove finiremo? Non si sa. Quello che sappiamo è che c'è un bisogno di sostegno nel lungo periodo, ma questo sostegno certamente non potrà arrivare attraverso un governo corrotto. Quello che so è che siamo nelle mani del Signore.
Ci sono tante storie orribili su questo inferno. Ma come ho detto ci sono sempre segni di speranza. Ora Beirut è un cantiere di ricostruzione grazie agli aiuti che vengono di qua e di là. Speriamo che sia una costruzione anche di una nuova umanità.
Padre Youssef, direttore dell’Istituto della Famiglia dell’Università La Sagesse
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